Fate pace con i vostri errori

Fate pace con i vostri errori

Kintsugi.

Nella vita ho fatto una marea di cazzate, ne ho un’intera collezione sullo scaffale. Con alcune ci ho fatto pace, con altre ancora sto tentando, ci sto lavorando su. Nei giorni buoni mi sento parte di tutto questo, in quelli meno buoni le ferite sanguinano ancora. Ho letto da qualche parte che in Giappone alcuni artigiani riparano con l’oro i vasi rotti. C’è in questa abilità una delicata lezione simbolica, quella di accettare il danno, di non vergognarsi delle ferite che ognuno di noi può portare dentro di sé. La filosofia che è alla base del kintsugi (così si chiama questa arte), ci dice che la vita non è composta solo di perfezione, ma anche di rottura e, come tale, anche questa parte va accolta, esaltata in alcuni casi. Personalmente credo che questa attitudine andrebbe applicata anche alle ferite che procuriamo agli altri e non solo a quelle che ci infliggono perché sono le prime i nostri più grandi fallimenti. Fanno, credo, infinitamente più male perché non è possibile collocarle in un quadro generale, fatalistico. Siamo noi la pistola fumante e prima ancora il dito sul grilletto, non c’è spazio per destino, fato o karma. L’oro in questo secondo caso è il perdono che dobbiamo, alla fine, concederci. Per quanto si possa aver sbagliato non si può vivere in un rimorso infinito. 

Ripenso al primo dei 12 passi degli alcolisti: riconoscere la propria dipendenza ed ammettere di non essere in grado di uscirne da solo. Si tratta di uno dei passi più difficili, poiché implica l’ammissione della sconfitta e del fallimento, ma anche la volontà di iniziare un percorso di rinascita. Si arriva ad un punto della propria vita in cui è necessario accendere i riflettori sul male che, volontariamente o meno, si è procurato, chiedere scusa ed infine perdonarsi per ripartire.

Le crepe del vaso della nostra vita sono un valore e non una vergogna, sono il simbolo del nostro percorso, sono, in ultima istanza, noi, il luogo in cui abitiamo.

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